Sono giorni nei quali si parla del plagio di Samsung nei confronti di Apple, che - visto che in USA si può - ha brevettato dei "gesti" e grazie a questo ha avuto una sentenza favorevole (e protezionistica) da parte del tribunale Iuessè.
Nell'analogo processo in Sud Corea, invece, il tribunale ha dato torto a tutti e due i contentendi, dicendo sostanzialmente: non ci rompete le palle con queste idiozie e continuate a vendere e produrre in Sud Corea, idioti.
Insomma, il plagio è una questione terribilmente soggettiva, in tutti i vari campi di applicazione delle idee.
Mi è capitato di trovare, in un fumetto che non conoscevo, un'idea quasi identica a quella di un racconto che scrissi anni fa.
Vado a controllare e il fumetto è antecedente, anche se di poco, al mio raccontino che, fortunatamente, non ho mai pubblicato.
Da lì ho ripensato alla mania del "cit.", nata sicuramente dopo il caso Luttazzi e che, come tutte le cose qui in Internet, poi assume dimensioni esagerate e vede la nascita di vere e proprie psicosi.
Basti pensare a quelli che accusavano Crozza di aver copiato una battuta da twitter, quando la battuta si basava su un procedimento così scontato e "antico", che è chiaro che potesse venire in mente a chiunque (nevica a Roma->Evento raro->Nevica ogni morte di papa->il Papa si gratta le palle) e, anzi, viene in mente a chiunque ogni volta che si presentino le condizioni perché una battuta declinata in quel modo possa nascere. E twitter giù di hashtag "#copiaeincrozza" e sfottò quando pochi si accorgevano del fatto che c'era uno accusato di "plagio", e centinaia di persone che si sentivano plagiate.
Waddafakka, qualcosa non torna.
Esasperazioni internettiane, che poi sfociano nella parodia delle citazioni volutamente false e nel terrore di essere accusati di copiare o di essere copiati.
Estenuanti ricerche in rete per capire se quella battuta che pare così arguta sia stata già detta da qualcuno.
Anche io a volte pecco di queste immotivate fobie. Ma ci vuole anche onestà intellettuale: l'altro giorno la mia battuta su Armstrong l'ho ritrovata in giro quasi uguale, segnalatami da uno che mi legge. All'inizio ho pensato "ah! mi ha copiato!", ma poi mi sono fermato a ragionare e ho risposto: "Armstrong ciclista, trombettista e astronauta, è un meccanismo troppo sempice perché io possa rivendicarne la paternità."
Perché nell'esagerazione tipica di questi tempi, si arriva addirittura a rivendicare la paternità di battute scontate.
O a fare guerre tra poveri, come gli Appleboy contro i Samsungboy.
Della sentenza Apple non viene niente in tasca a nessuno, eppure c'è chi esulta.
Cose che col pollice opponibile non c'entrano proprio nulla.
Il plagio è sempre esistito, in ogni forma artistica o tecnologica.
Plauto copiava le commedie greche e le spacciava per sue.
Picasso diceva che il bravo artista copia e che il genio ruba.
Le cause musicali si sono sempre sprecate. Da che ci sono gli avvocati, perché ai tempi di Mozart invece ci andavano giù un po' più grezzi e si copiava per migliorare o anche solo per sbeffeggiare o onorare.
Ogni azienda al mondo ha sempre avuto un reparto di "Analisi Concorrenza", dove i prodotti vengono letteralmente smontati e viene fatto quel procedimento che si chiama "ingegnerizzazione inversa": partire dal prodotto finito, e capire come funziona.
Ok, nel plagio industriale e tecnologico esistono leggi diverse per ogni Paese, ma almeno qualche regola c'è. Per così dire.
Ma nel plagio artistico?
Dice: tra plagio e omaggio ci passa, appunto, il "cit.". Dichiarare cioè la citazione.
O, magari, fa la differenza la quantità di roba che "prendi".
Un par di ciufoli.
Al cinema non c'è l'elenco, tra i titoli di coda, dei film dai quali vengono prese le inquadrature. Se ci fosse questa cultura, Tarantino avrebbe titoli di coda più lunghi dei film stessi (il giorno che quel ragazzo farà un film con la farina del suo sacco, stapperò una bottiglia di vino pregiato per festeggiare. Ci era andato vicino con Jackie Brown, che infatti rimane un piccolo capolavoro sconosciuto).
Leone, il suo "Pugno di dollari", l'ha copiato inquadratura su inquadratura da Kurosawa, trama compresa.
Lì però la causa ci fu, e Leone la perse. Senza che questo inficiasse - giustamente - la sua fama di Grande.
Ma tra gli appassionati di cinema è diverso: è come se sia sottointeso che chi cita lo faccia non per mancanza di idee, ma per la voglia di sfidare il pubblico, per omaggio o al limite per parodia.
Nessuno si permetterebbe di dire a Tarantino che i due Kill Bill sono un collage di inquadrature prese da altri film, forse perché è tutto confezionato in maniera troppo fica ed emozionale, e quindi va bene così, alla fine ti diverti e bon.
Però, in tutto questo, io non ho ancora capito quando - e perché, nel caso - copiare sia una cosa da ganzi e quando sia una cosa da stronzi.
Forse la differenza è davvero questa: chi scrive "plagia", chi invece dipinge, fotografa o filma, "cita". Ma sarà davvero solo tutto qui?
Credo che nessuno lo capirà mai.
a me quello che fa ridere (sigh!) sono gli eredi eccessivamente ingordi: campano a sbafo sulla genialita' altrui e stanno ancora a rompere le balle per cose di cui dovrebbero invece andar fieri, vedasi la causa degli eredi di miro' a google quando quest'ultimo gli dedico' un suo doodle (vicenda piuttosto nota, ma non di certo l'unica)
RispondiEliminavoglio dire, ci sta che proteggano i propri diritti e quelli dell'interessato e tutto quanto, non e' che sempre "rompano le balle" e a volte hanno ragione; ma qualche volta ci vorrebbe un po' di buonsenso
uhm... come... in tutto? beh, si: come in tutto, pensandoci bene :D
reb