Leggevo poco fa di una disputa tra dei nativi americani e la società che ha costruito lo Skywalk sul Grand Canyon.
Io ci sono stato sullo Skywalk, e mi sono venuti in mente dei ricordi che c'entrano con il titolo.
Innanzitutto c'è da dire che i nativi americani sono oramai dei business men imbolsiti dall'alcool e la cosa più nativoamericana che fanno è venderti gli acchiappasogni nel Grand Canyon.
Spiego cosa è lo Skywalk: è una sorta di passerella, a ferro di cavallo, che spunta dalla roccia, a un'altezza di un chilometro e mezzo dal fondo del canyon.
Ah ho dimenticato un dettaglio: la passerella, è di plexyglass. Sia le pareti che il fondo. Quindi cammini su un nulla alto 1 km e mezzo.
Già sceso dal pullman che ci aveva portati da las vegas a Eagle Point, vedendo quella cosa, depositai una ingente e metaforica chilata di polifosfati compattati organici civili comunemente detti "merda".
Ma oramai ero lì, non potevo dire: non salgo.
Allora sono salito e ho cominciato a camminare a piccoli passi, aggrappato all'unico corrimano (fissato su una parete di plexyglass), cercando di non guardare né giù, né su, né a destra, né a sinistra, ma senza tenere gli occhi chiusi, per non aggiungere anche la totale cecità a quella situazione.
E' difficilissimo riuscirci. Ma io ce la stavo facendo.
Camminavo a chiappe strettissime e a passi piccolissimi ripetendomi: "fin qui tutto bene. fin qui tutto bene. un altro millimetro. fin qui tutto bene."
I miei compagni di viaggio, Attilio e Davide, solidali, mi prendevano per il culo correndo avanti e indietro e facendo coreografie di Fred Astair e Ginger Roger sulla lastra di plexyglass. Il terzo, Marco, era messo bene o male come me, ma con più dignità nello sguardo. Essendo ignegnere, si fidava ciecamente di chi aveva progettato quella cosa infernale.
Comunque sebbene sembrassi un gattino appeso a una tenda sotto la quale stessero dei mastini affamatissimi, mi stavo comportando bene. Con la giusta dose di basso profilo stavo diventando trasparente anche io e proseguivo la mia conquista, millimetro dopo millimetro, concentratissimo per convincere il mio cervello che quella cosa sotto i miei piedi non fosse uno strapiombo di un chilometro e mezzo, ma semplicemente una jpeg anche poco definita proiettata su quello strano schermo LCD sul quale stavo camminando. A un certo punto la mia mano incontra una mano rugosa e rubizza.
Alzo lo sguardo, è a metà del mio percorso, per farvi capire: proprio sulla punta della curva di quella "U" che stavo percorrendo, c'era un nativoamericano ciccionissimo appoggiato con la schiena al corrimano, che mi guardava con il tipico sguardo che nella lingua degli Hualapai significa: "piccolo italiano pizza spaghetti mandolino mamma cacca into mutanda! arh arh arh!".
Stava lì perché in America ci sono tappe fisse anche nel divertimento, e quindi lì è il punto nel quale ti devi fare la foto con il nativoamericano ciccione.
A quel punto mi giro verso i miei compagni di viaggio, che mi guardavano silenziosi e dico: "Porca puttana, mo' devo circumnavigare l'indiano!".
(Ora passo al tempo presente per aumentare la suspance.)
Loro solidali scoppiano a ridere. Dave traduce la mia frase a una guida ciccioamericana che si mette a ridere e la riporta a tutto il gran Canyon che si mette a ridere indicandomi.
Il ciccionativoamericano, mentre cerco di circoscrivere a piccoli passi la sua panza guardandolo negli occhi, proprio quando stavo per riaggrapparmi al corrimano, mi spintona e mi ritrovo in piedi, da solo, al centro del pavimento di plexyglass con alcune scelte possibli:
- svenire
- aumentare il volume di polifosfati compattati organici civili comunementi detti "mmerda" all'interno del mio vestiario
- sfoderare la spacconeria italiana, mia dote naturale tra l'altro amplificata dal fatto che sono mezzo siciliano, mezzo pugliese e sono nato a Roma.
Guardo l'obesonativoamericano e gli dico:
"Ah indià. Se ce riprovi t'estinguo, l'anima de li stramortacci alcolizzati tua e di manitù".
Il ciccionativo deve aver capito e non ha replicato. Muto.
Al che mi sono diretto a passo sicuro, senza più aggrapparmi, verso la porta che mi avrebbe ridato accesso alla terra ferma.
Varcata la quale mi sono aggrappato a una ruota del pullman per staccarmi dalla quale ci si sono messi in tre, compreso un canadese che mi chiese: "Ma in italia non avete canyon come questi?" e al quale risposi: "Sì, uno dalle parti di Brindisi".
Tutto questo per dire cosa? Che gli Hualapai si preoccupano tanto dello Skywalk ma non sanno che hanno rischiato tantissimo, se solo non fossi stato impossiblitato nei movimenti da quella metaforica quantità di polifosfato compattato organico civile.
A me gli indiani stanno simpatici, ma quella volta ho fatto il tifo per il Generale Custer.
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