domenica 11 marzo 2012

Goleador

Mi ricordo, eravamo io e Giulio.
Al Bar Acli del paese c'era un barista talmente vecchio e rincoglionito che quando gli chiedevi un caffè a volte ti rispondeva:
- Questa è la plancia della nave, mozzo, come ti permetti di chiedere un caffè al Capitano?
Quindi dovevi fare tu il giro del bancone e preparartelo. Ci fu anche un'estate nella quale lavorai lì, per fare su i soldi per il motorino, ma non è che fossi stato davvero assunto, in realtà mi ero messo a fare caffè, a pulire e ogni giorno il Vecchio mi allungava qualcosa.
Ma quando eravamo io e Giulio, all'inizio di questa storia, eravamo più piccoli. Ci disfacevamo letteralmente di quelle liquirizie, le Goleador. Andavamo dal Vecchio con mille lire, un capitale, e dicevamo:
- Prendiamo venti goleador
Il Vecchio ci guardava mentre contavamo, uno due tre quattro, solo che erano venti manciate di goleador.
Alla fine le spalmavamo tutte su un tavolino, quelli con le gambe di ferro sottili e l'impiallacciatura di finto legno azzurrina, che col caldo si staccava dagli angoli. Il Vecchio guardava un po' dubbioso la montagna di caramelle e noi ci mettevamo seduti a scartarle e a spaccarci le gengive per tutto il pomeriggio.
Su un altro tavolo c'erano sempre altri vecchi, quelli con il bianchino in corpo già dalla mattina, a giocare a briscola. Per molto tempo non ho capito quali fossero davvero le regole. Ai miei occhi si trattava di bestemmiare a voce alta e sbattere fortissimo le carte sul tavolo, e ogni tanto accusare il vicino di aver fatto dei segni o di aver parlato o di aver tenuto troppo in mano questa o quella carta.
Fuori l'aria era quella dell'estate appena iniziata, umida e odorosa come un cane che si sia appena rotolato in una meravigliosa pozzanghera di merda. Si poteva andare nei campi a rubare le pannocchie e poi scappare veloci in bicicletta se si veniva beccati in flagrante. Si poteva non pensare alla scuola o ai genitori che litigavano a casa. Si poteva far ballare il tavolino che aveva sempre qualche gamba più storta delle altre, solo per far incazzare il Vecchio. Si poteva pensare, ancora una volta, che ora siamo grandi, furbi e in gamba, non come un anno fa, che eravamo proprio dei scemi. E pensarlo l'anno dopo, e quello dopo ancora.
Che poi alla fine, non smetti mai di pensarlo, solo che più invecchi e più passano anni tra una volta e l'altra che te lo dici.
Si poteva pensare che quando sarebbe finalmente reiniziata la scuola, ti saresti dichiarato a quella ragazzina che ti toglie il fiato, quella che ami veramente, non come quella prima che era solo una cotta, ma comunque migliore di quella prima ancora e così via.
E le carte scartate dei vecchi sbattevano sul tavolo, e le carte scartate delle nostre liquirizie si mischiavano tra loro, e volavano via per tutto il bar, se solo entrava dalla porta un po' più di vento.
Ridevamo coi denti e la lingua neri.
Mangiavamo Goleador e cacavamo macigni.

2 commenti:

  1. Splendido, porta il ricordo di molti pomeriggi al centro parrocchiale (cosa peraltro inesistente in forma analoga a Los Angeles); aggiungo la variazione colorata delle Goleador rosse e verdi, che coloravano le lingue in modo da far venire i capelli bianchi alle madri.

    bellissima l'immagine dei vecchi col bianchino gia` in corpo dal mattino!

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    1. Grazie, Camilla (:
      Tirare fuori certi ricordi è una medicina contro le complicazioni che crescendo ci mettiamo in mezzo ai piedi.

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